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mercoledì 5 marzo 2014

Un passo nella storia - Episodio 100

#tuttoilcalcioblog
di Roberto Pelucchi

Cento. Cento puntate di "Un passo nella storia". Chi l'avrebbe mai detto che ci saremmo arrivati... Invece, la grande storia dello sport alla radio (Rai) ci ha offerto tanti spunti e credo che tanti ce ne darà ancora. Oggi vi propongo l'intervista che Roberto Avvantaggiato del Messaggero fece a Ezio Luzzi il 6 gennaio 2010, in occasione dei 50 anni di Tutto il calcio minuto per minuto. (Avvertenza: dall'intervista sembra quasi che Luzzi sia tra i fondatori della trasmissione: non è così. Luzzi diventò radiocronista soltanto nel 1965).

Ezio Luzzi, Tutto il calcio Minuto per Minuto festeggia 50 anni.
«Un grande traguardo, forse impensabile quando partimmo».

Raggiunto da un gruppo di voci che hanno fatto la storia del calcio e della radio.
«Sì, è vero. Eravamo davvero un bel gruppo, affiatato e completo: rappresentavamo l’uno l’integrazione dell’altro, una vera squadra vincente».

Grandi giornalisti, ma anche grandi persone.
«Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Guglielmo Moretti, Mario Giobbe, Piero Pasini, Nando Martellini, Roberto Bortoluzzi, Claudio Ferretti, Alfredo Provenzali...».

E poi c’era lei, la voce della serie B.
«Sì, ma non solo. Ho raccontato anche sette mondiali, otto Olimpiadi e tanta, tanta serie A».

Già, ma per vent’anni la B in Tutto il calcio s’è identificata soltanto in lei.
«Fu per colpa di Guglielmo Moretti, l’allora caporedattore».

Ci spieghi meglio?
«Durante una riunione di redazione, dopo che Mario Gismondi era stato chiamato a dirigere il Corriere dello Sport, mi guardò e disse: bisogna trovare un sostituto. Io gli chiesi perché guardava proprio me e lui mi rispose: sei il più giovane, e poi è soltanto per qualche mese. Invece durò tantissimi anni».

Lei entrò in Rai proprio 50 anni fa.
«Fu l’anno delle Olimpiadi a Roma, Tutto il calcio minuto per minuto era appena nato».

La prima trasmissione ufficiale fu il 10 gennaio.
«All’inizio c’erano pochissimi campi collegati. Nicolò Carosio faceva la radiocronaca principale e non c’erano interruzioni, ma il passaggio della linea e gli aggiornamenti dei risultati, che venivano dati da Carosio durante il suo collegamento».

Poi entrò in scena la voce di Roberto Bortoluzzi
«Avvenne dopo le Olimpiadi. Durante i Giochi la Rai sperimentò la formula con uno studio centrale che coordinava i collegamenti tra una disciplina e l’altra. La cosa piacque a tutti, tanto da essere subito trasferita a Tutto il calcio minuto per minuto. Venne così deciso che Bortoluzzi, dallo studio, avrebbe collegato i campi e aggiornato i risultati».

Collegamenti molto rigidi e disciplinati, senza interruzioni
«Quelle vennero un anno dopo, quasi per caso. Fu Ameri a introdurle. Nel gennaio del 1961 Enrico interruppe per la prima volta un collega che stava parlando con questa frase: “C’è una notizia clamorosa: la Roma vince sul campo dell’Inter”. A San Siro aveva segnato Piedone Manfredini e quel gol gli sembrò un evento da raccontare subito».

Da allora è nato il mitico ”scusa Ameri, scusa Ameri”
«Capimmo subito che quelle interruzioni piacevano alla gente e da allora furono una caratteristica di Tutto il calcio».

A proposito di interruzioni. Le sue sono quasi una leggenda...
«Mi era stato insegnato che un gol della B vale quanto uno della A, quindi...».

Giusto, ma si diceva che lei esagerasse facendo arrabbiare qualche collega
«Sì, dicevano che interrompevo anche per un calcio d’angolo, ma non era vero. Chiedevo la linea soltanto per le cose importanti».

Fu così che la serie B venne conosciuta un po’ da tutti
«Facevo la B come andava fatta e la gente se ne interessava moltissimo. Anche ai dirigenti delle società andare in radio piaceva molto, tanto che erano loro stessi a chiedermi di essere intervistati».

Parlare con i protagonisti era dunque facile
«Certo, perchè stavamo in mezzo ai giocatori, ai dirigenti che magari chiedevano un parere su qualche giocatore che avevo visto. Lo faceva anche Moggi quando era osservatore della Juventus. Gli stessi calciatori, poi, mi chiamavano anche a notte fonda per parlare della partita, di come l’avevo vista. Oggi, invece, con la tv è tutto diverso».

Le radiocronache, invece, erano meno facili
«Una volta mica c’erano tutti quei numeri da snocciolare, come si fa oggi: presenze, gol, passato, presente e futuro. Conoscevamo appena il modulo tattico della squadra, poi sapevi che Tizio faceva l’ala e Caio il centravanti perché i numeri andavano da uno a undici».

A proposito di numeri, le è mai capitato di sbagliare qualche risultato?
«Una volta a Piacenza diedi il gol alla squadra avversaria perché i vetri della mia cabina davano strani riflessi e non vidi bene l’azione. Un mio collega me lo fece subito notare e mi corressi subito, scusandomi».

A Terni, invece, cosa accadde?
«Che a cinque minuti dalla fine di Ternana-Palermo, sul 3-0 per i padroni di casa arrivò il 3-1. Pensai: vabbè, non è fondamentale, lo comunico nel collegamento finale. Dopo un paio di minuti arrivò anche il secondo gol dei siciliani e anche in quel caso mi dissi: tanto la sostanza non cambia. Poi, però, arrivò il terzo gol del Palermo e così al collegamento finale invece di raccontare della vittoria della Ternana, raccontai un rocambolesco pareggio».

Luzzi, com’è oggi Tutto il calcio?
«E’ cambiato molto. Direi che fare radiocronaca è più facile perché tutti conoscono tutti. I calciatori li vedi sempre, li conosci, li senti parlare in televisione».

Quindi i radiocronisti sono più preparati?
«Hanno sicuramente più informazioni da dare, ma non hanno fatto la nostra stessa scuola. L’esame finale lo facemmo a San Pietro: dovevamo raccontare un’udienza papale mentre in piazza c’erano soltanto gli spazzini...»

Però, il successo è sempre lo stesso...
«Inevitabile. Tutto il calcio è una tradizione perché ha rappresentato e rappresenta l’Italia del calcio, dello sport. Quando è nato non c’era nient’altro e la gente si raccoglieva intorno alla radio per ascoltarci».

Chi sono gli eredi di Ameri, Ciotti e il suo?
«Riccardo Cucchi è molto bravo, lo stimo molto. Poi ci sono Emanuele Dotto e Francesco Repice, tutti cresciuti con me quando ero diventato caporedattore».

In tanti anni di radiocronache, le è mai successo di esultare per un gol?
«No, per carità. Anche se a volte capitava di alzare la voce quando segnava la squadra di casa. Lo dovevamo fare perché l’urlo della folla copriva la nostra voce. Quando invece segnavano gli ospiti, era tutto più calmo. Qualcuno, però, interpretava nel modo sbagliato questo comportamento».

A proposito, per chi ha tifato o tifa?
«Vivo a Roma e sin da quando ero al Corriere dello Sport tra le due squadre romane ho sempre avuto maggiore simpatia alla Lazio».


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