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mercoledì 22 gennaio 2014

Un passo nella storia - Episodio 98

di Roberto Pelucchi

Alla dittatura della televisione, rispondiamo con la poesia della radio. Il motto potrebbe essere questo ed è il riassunto dell'intervista che Riccardo Cucchi - capo della redazione sportiva del Giornale radio Rai - concesse a Livio Balestri del Guerin Sportivo nell'aprile 2009. Sono quasi passati cinque anni, ma quell'intervista è ancora attuale e potrebbe essere rilasciata e sottoscritta anche oggi.

TUM-tum-tum-tum-tututum-tutum. Se "A taste of Honey" riecheggia non solo dalle radio pochi minuti prima dell' inizio delle partite, ma anche da molti cellulari (sono una delle suonerie più diffuse), è segno che "Tutto il calcio minuto per minuto" è ancora vivo e lotta insieme a noi. Alla faccia di quel dirigente Sky che, anni fa, annunciò sprezzante: «D'ora in poi il calcio alla radio servirà solo per gli automobilisti in viaggio». Invece "Tutto il calcio" è uno splendido 50enne (l'anniversario sarà il 10 gennaio 2010, ma le celebrazioni sono già iniziate, con una serie di registrazioni d'epoca riproposte ogni giovedì in "Zona Cesarini" su Radiouno). «Non ci sentiamo figli di un dio minore, neanche nell' epoca del calcio spezzatino e di tutte le partite in diretta tv» dice Riccardo Cucchi, voce principale della trasmissione e capo dello sport di Radio Rai. Inutile negare però che è tutto cambiato rispetto a quando eravate l'unico modo per sapere le variazioni dei risultati, facendo 12-13 milioni di ascoltatori. «Quanto ad ascolti, resistiamo comunque su svariati milioni. Ma è cambiato tutto, appunto, in primis l'Italia. E naturalmente anche il calcio». E questo ha fatto cambiare anche voi? «Anzitutto la struttura della trasmissione. Dal 1960 fino a quasi la fine degli anni Ottanta "Tutto il calcio minuto per minuto" copriva solo i secondi tempi: a inizio trasmissione Bortoluzzi si collegava coi vari campi e chiedeva i risultati dei primi 45' . Una regola voluta dalla Lega, terrorizzata che la gente potesse non andare più allo stadio. Pensi lei la differenza coi tempi attuali, in cui tutto è in tv». Siete cambiati anche come narrazione. «Una volta c'erano Sandro Ciotti ed Enrico Ameri, che si integravano perfettamente con ironia, lettura della partita e ritmo, adesso ci sono tanti bravissimi colleghi, ma nessuno di noi all'altezza dei due giganti. Siamo costretti a essere più veloci, più ritmati, perché il calcio è più veloce. Negli Anni 60 e 70 i campioni non erano pressati in mezzo al campo, avevano tempo di ragionare e rifiatare. E noi radiocronisti con loro. Poi c' è il problema moviola. Una volta c'era molta meno attenzione ai singoli episodi, ci si poteva basare su impressioni, oggi bisogna provare a decodificare immediatamente le situazioni in area, perché la tv mostrerà subito mille replay». Ecco, la tv. Quanto pesa sul vostro lavoro? «Parecchio, anche se non si può certo pensare che siamo in concorrenza con Sky o la Rai versione televisiva. Non avere le immagini pesa, dobbiamo puntare su altre cose, come l'emozione». Ma poi c'è il problema dei dopo-partita. Tra la D'Amico, Varriale, cronisti delle tv locali e dei giornali, voi della radio spesso siete messi in coda per le interviste. «La priorità è data a chi investe di più e quindi c'è prima Sky. Ma devo dire che arrivare dopo gli altri ha anche dei vantaggi. Gli allenatori spesso hanno sfogato l'adrenalina davanti alle telecamere e con noi sono più pacati e riflessivi, incoraggiati in questo anche dal clima amichevole e posato. Ricordo con piacere un Mourinho che alla sua prima partita a San Siro, col Catania, prima fece fuoco e fiamme in tv, polemizzando con tutti, poi venne da noi, si rilassò e ne venne fuori una memorabile chiacchierata molto umana e profonda». Oltre a quelli che vanno in auto, chi altro vi ascolta? «Chi va in gita domenicale con la famiglia. E poi i non vedenti, per cui siamo l'unico modo per conoscere il calcio. Ma non solo. Inoltre, siamo restati gli unici a dare il calcio in diretta gratis. Siamo sicuri che tutti si possano permettere gli abbonamenti alla tv satellitare, soprattutto in questo periodo? Non siamo una trasmissione per gente cresciuta negli Anni 60, 70 e 80, ma anche per i ragazzi. Per festeggiare il nostro mezzo secolo, abbiamo chiesto agli ascoltatori a "Zona Cesarini" di raccontarci episodi della propria vita legati, in qualche modo, a noi. Non ha idea di quanti siano i 20-25enni. Ogni giorno ricevo curricula da giovani che aspirano a fare il radiocronista di "Tutto il calcio minuto per minuto". Continuiamo ad avere fascino, a piacere». Si è chiesto il perché? «In molti messaggi ricorre una frase: "La radio è più credibile". Può sembrare un paradosso. E invece è proprio perché non abbiamo le immagini dobbiamo essere onesti, nel racconto, raccontare solo quello che vediamo senza trucchi e senza inganni. E questo la gente riesce a percepirlo».

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