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domenica 12 agosto 2012

Cammarelle, PORCATA tutta inglese

di Marco D'Alessandro - Chiediamo scusa se non rispetteremo i toni dello spirito olimpico, ma ciò che è avvenuto oggi lo ha mandato bellamente a farsi benedire. Roberto Cammarelle da Cinisello Balsamo (città anche del sottoscritto, ma questo importa decisamente poco) è stato letteralmente borseggiato di una medaglia d'oro che era già sua e strameritata. E' successo quello che nel pugilato olimpico non è una novità, così come in quelle discipline in cui sono i giudici a farla da autentici padroni. Così come è stato per la Ferrari, la Cagnotto e Busnari. Anzi, oggi in maniera ancora più palese, sporca e sfacciata. Nello sport è contemplata la sconfitta e si fa omaggio a chi vince. Si contempla, però, quando a prevalere è la superiorità dell'atleta avversario. Non della "giuria" con l'odore forte della fogna. Anche le Olimpiadi inglesi hanno offerto la loro porcata, che sarà difficilmente dimenticabile. Alla faccia della loro saccenza e superiorità morale nei confronti di noi italiani mangiaspaghetti, pizza e mandolino.
A Roberto Cammarelle è stata la negata la gloria di una seconda medaglia d'oro dopo quella di Pechino, a vantaggio del pugile inglese Anthony Joshua, padrone e beniamino di casa.
Il senso di ingiustizia è molto profondo, dopo due riprese su tre in vantaggio ma dopo un verdetto finale a dir poco sconcertante: parità di punti assegnati e preferenza finale all'inglese in base a fattori che sono il segreto di Pulcinella. E già dal punteggio della prima ripresa, grande parte dei cronisti e gli addetti ai lavori sono rimasti perplessi già dal minimo punto di vantaggio a favore del nostro campione. O meglio, già da i precedenti incontri del britannico. Negato anche il ricorso da parte italiana, e lo scriviamo per onor di dettaglio. Contro il beniamino di casa avrebbe avuto la certezza della vittoria solamente mandando l'avversario al tappeto, così come fece quattro anni fa con un cinese.
Fa male, veramente male perchè è una ferita difficile da rimarginare. Ma è lo stesso Roberto Cammarelle a riportarci in comportamenti degni di sport ed Olimpiade. Assieme a Francesco Damiani non nasconde la delusione per un incontro "che non ritengo di aver perso", ma accetta comunque con signorilità e stile quel che è stato. Si presenterà sul podio, non diserterà la premiazione. Nonostante quel verdetto che più ingiusto non sarebbe potuto essere. Altri personaggi, nelle ultime ore, in altri angoli del mondo, per molto ma molto meno, ci hanno offerto sceneggiate decisamente più patetiche e disonorevoli.
Roberto, campione dentro e fuori, sempre rispettoso dell'avversario: sempre corretto e umile, nonostante provenisse da uno sport "violento" a cui però coniuga la sua immensa classe di un gancio che può essere elegante. Capace di regalarci emozioni con i suoi colpi sferrati dopo le partenze d'attesa e capace di appassionare anche chi non ama questo sport.
Desideravamo fortemente di vederlo con quella medaglia d'oro così come avremmo voluto ascoltare Massimo Barchiesi (così come fece Francesco Repice a Pechino) declamarne una vittoria che l'avrebbe proiettato, anzi, lo proietta comunque, nel mito dello sport italiano. Ed invece possiamo solamente riproporre un racconto di un "Cammarelle battuto dalla giuria". Peccato, perchè oltretutto Barchiesi avrebbe strameritato, da par suo, di raccontarci una medaglia dal metallo più prezioso.


Per i più giovani, vogliamo mostrarvi un amarcord vecchio di 24 anni, ma che agli appassionati di pugilato riaffiora nella memoria in questi momenti. Olimpiadi di Seul 1988, un tarocco inenarrabile ai danni dell'americano Roy Jones e a vantaggio del coreano Park, ovviamente padrone di casa. Il telecronista di Telecapodistria era il grande Rino Tommasi, che senza mezzi termini descrisse il furto a mano armata. Non l'ultimo. Oggi è accaduto qualcosa di molto simile.



“Non voglio parlare di quello che è accaduto in questa finale. Per me il pugilato dilettantisico è morto qui, in questa Olimpiade. Non è più lo sport che conosco. Parliamo d’altro, del professionismo o delle World Series”, Francesco Damiani è avvilito più che furioso.

Roberto Cammarelle analizza con serenità la vicenda: “E’ stata commessa un’ingiustia. E’ stato formulato un verdetto casalingo. Non mi spiego perché sia potuto accadere. Mi brucia. Nella terza ripresa non sono andato al massimo, ma non pensavo di averla persa di tre. E nelle prime due mi mancava qualche punticino. Tutti quelli con cui ho parlato mi hanno detto che avevo vinto io, solo quelle cinque persone che siedono attorno al ring e decidono della vita di un pugile hanno visto un’altra cosa. Da tre anni mi danno contro e non capisco il perché. Non ho nulla contro Joshua, sarei poco intelligente se pensassi il contrario. Sapevo che avrei rischiato un verdetto casalingo, ma penso di avere fatto ogni cosa per non permettergli di formularlo. E’ un risultato che mi brucia. Tra venti anni la gente non ricorderà più il match, né che è finita in parità. Ricorderà solo che ho perso la finale olimpica. Non vado oltre perché non mi sembra bello stare qui tra italiani a cantarcela fra di noi. Quelli che ne capiscono sanno come è finita, quei cinque uomini non sono stati d’accordo. Non ho perso, potevano almeno dare un oro ex aequo. Non lo dico certo per il premio. Se mi proponessero uno scambio l’accetterei subito: niente soldi e la giusta vittoria in cambio. Mi sta bene. Firmo. Voglio la gloria, voglio l’oro. Adesso chiamerò mia moglie che mi dirà: sei stato bravo, sei bellissimo, ma ti hanno fregato, è una vergogna. Lei è più diretta di me. Voglio tornare a casa, mi manca la mia famiglia. Mi manca mia moglie, i miei figli. Adesso finalmente avrò più tempo per loro, mi piace fare il padre. Faccio i campionati italiani e poi smetto chiudo con la carriera di pugile. Alla fine ero stanco, sono critico nei miei confronti. Ma devo anche dire che l’Aiba non mi appartiene più, è un pugilato che non mi piace, non mi rappresenta. E adesso vado, sono stanco”

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