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mercoledì 11 aprile 2012

Un passo nella storia - Episodio 70

di Roberto Pelucchi

Nel 1966 Tutto il calcio minuto per minuto perse una delle sue voci. Nico Sapio, giornalista della sede di Genova, culla di tanti radiocronisti, morì in quella che è passata alla storia come la tragedia di Brema. Era il 28 gennaio quando l'aereo con a bordo la nazionale italiana di nuoto e Sapio, diretti al meeting di Brema, si schiantò al suolo in fase di atterraggio. I morti furono 46, tra cui i sette nuotatori azzurri, l'allenatore e, appunto, Sapio. Il giornalista era nato il 22 agosto 1929. Come si legge sui giornali dell'epoca "dopo avere compiuto gli studi classici, nel 1954 aveva iniziato a lavorare per la Rai, dapprima a Bolzano, poi con la Radio-squadra. Nel 1959 era entrato uffiicialmente alla redazione di Genova del Giornale radio. Era diventato in breve uno dei più apprezzati radiocronisti per la pallanuoto, il nuoto, il rugby, oltre che per il calcio. Sapio aveva partecipato alle Olimpiadi di Roma e di Tokyo. L'ultimo suo servizio fu la trasmissione della partita Sampdoria-Juventus. disputata il 16 gennaio a Marassi. In gioventù era stato un ottimo giocatore di rugby".

Il 1966 fu anche l'anno del Mondiale in Inghilterra, che vide gli azzurri clamorosamente eliminati dalla Corea del Nord con il gol di Pak Doo Ik. Non sono riuscito a trovare la squadra completa della radio che seguì l'evento, ma sicuramente c'erano Enrico Ameri, Roberto Bortoluzzi, Mario Gismondi e Massimo Valentini. Sul Programma Nazionale andarono in onda in diretta le partite più importanti e tutte quelle degli azzurri. Programmi speciali anche in coda ai principali giornali radio. Solito, grandissimo spazio, al Giro d'Italia di ciclismo. In un articolo dell'epoca leggiamo: "L'equipe radiofonica è composta da Enrico Ameri, Adone Carapezzi, Sandro Ciotti e Italo Gagliano. Quotidianamente, a partire da domani e sino a giovedì 9 giugno, la Rai effettuerà un primo servizio speciale dalla località di partenza, servizio di interviste e previsioni che sarà messo in onda sul Secondo Programma in coda ai Giornali radio delle 9,30 o delle 10,30 (a seconda dell'ora di partenza della tappa). Sempre nella mattinata, fra le 11 e le 12, da una località che sarà prescelta di giorno in giorno, la Rai effettuerà sul Programma Nazionale un collegamento con la radiocronaca del passaggio del Giro. Notizie sullo svolgimento della tappa saranno inoltre fornite al termine dei Giornali radio delle 13 sul Nazionale e delle 13,30 sul Secondo Programma. Nel pomeriggio di ogni giorno la Rai si collegherà dalle 15,30 alle 17 (Secondo Programma) trasmettendo la fase finale di ciascuna tappa, la radiocronaca dell'arrivo e commenti e interviste. Oltre all'ormai noto studio mobile, dal quale Ameri svolgerà la radiocronaca degli ultimi venti chilometri, quest'anno al seguito del Giro vi sarà pure una motocicletta con a bordo Italo Gagliano, che potrà inserirsi proprio nel mezzo della lotta che normalmente divampa nei pressi dello striscione d'arrivo. L'arrivo di tappa sarà raccontato da Sandro Ciotti, posizionato sul traguardo. La sera alle 19,50 sul Secondo Programma a cura di Ameri, Carapezzi e Ciotti saranno trasmessi dieci minuti di commenti e di interviste mentre a Gagliano sarà affidato il servizio che andrà in onda alle 20,15 dopo il Giornale-radio del Programma Nazionale".

Radiocronisti che hanno prestato la loro voce allo sport l'8 aprile, alle 21, sul Secondo programma, furono invece impiegati per la diretta della Via Crucis di Papa Paolo VI. Oltre al vaticanista Mario Puccinelli, infatti, si poterono ascoltare anche Paolo Bellucci, Luca Liguori e Rino Icardi.

Italia-Russia dell'1 novembre fu la prima telecronaca degli azzurri di Nando Martellini (che in aprile aveva raccontato per la radio Real Madrid-Inter, semifinale di Coppa dei Campioni), la prima senza Nicolò Carosio. Ecco quello che Ugo Buzzolan scrisse sulla Stampa: "Oggi a commentare per tv Italia-Urss non ci sarà Niccolò Carosio, mandato in pensione dopo un'attività ininterrotta di speaker che durava più o meno dagli anni '30. E' la prima volta che una partita della nazionale non sarà accompagnata dalla sua voce. Non vorremmo fare del sentimentalismo, non è il caso, ma ci sembra che l'avvenimento meriti una piccola segnalazione. Noi quarantenni andavamo alle elementari e già ci radunavamo estatici attorno a quello strano arnese che si chiamava radio e ascoltavamo con reverenza la voce di un signore che evocava con la semplice parola tutto quello che stava succedendo in un grande stadio a centinaia di chilometri di distanza. A dire la verità la parola di Carosio non è mai semplice, bensì perennemente dilatata e arroventata dall'entusiasmo o soffocata dalla delusione. La sua era una cronaca di tipo passionale. Ricordiamo ancora l'epico scontro Inghilterra-Italia a Londra nel '34: Meazza segnò due folgoranti goals e la voce di Carosio parve spaccare i microfoni. Così come altre grida di giubilo, altri osanna travolgenti risonarono per i trionfi dell'Italia guidata da Vittorio Pozzo ai campionati del mondo del '34 e del '38. Nell'immediato dopoguerra gli azzurri andarono a Vienna e le buscarono per 5 a 1; abbiamo tuttora ronzante con mestizia nelle orecchie quel funereo resoconto: più il bottino degli austriaci — dei nemici — cresceva e più la voce di Carosio si spegneva e si incupiva sino a diventare uno sconsolato, incomprensibile borbottìo. Ma il suo stato naturale era la foga galoppante: non commentava, interpretava la partita e nell'eccitazione arrivava a confondere nomi, a sbagliare punteggi, a pronosticare successi che nel giro di cinque minuti si trasformavano in rovinose sconfitte; arrivava persino a coniare espressioni che facevano a pugni con la logica (celeberrimo e bellissimo, da antologia, il «quasi rete!» per indicare, gozzanianamente, un goal che poteva essere e non era stato). D'accordo, contro Carosio è stata facile l'accusa di retorica, di eccessivo nazionalismo, di non completa liberazione da un clima eroico che trent'anni fa, al pari del «voi» e dell'orbace, era d'obbligo per superiori disposizioni. Noi preferiamo pensare che si trattasse solo di prorompente e incontenibile amore per lo sport e che la voce di Carosio non fosse altro che la voce ruggente di passione dei milioni e milioni di tifosi che in tutti questi anni, nella canicola o nel gelo, sferzati dal vento o schiaffeggiati dalla pioggia, sono accorsi sugli spalti a trepidare per lo spettacolo della palla rotonda, unica loro dolcezza, unico loro divertimento; quei pazzi e patetici tifosi per i quali sia pure assurdamente e irriverentemente ogni sconfitta della nazionale azzurra è un po' una catastrofe che coinvolge l'onore della Patria e la loro domestica serenità. E' appunto dopo la luttuosa batosta coreana che Carosio si è ritirato, immaginiamo col cuore straripante di amarezza. Ai giovani, del suo ritiro, della sua assenza definitiva non importerà niente; ed è giusto. Oggi, specie in tv, si richiede un commento freddo, obiettivo che non disturbi l'evidenza delle immagini. Ma per noi quarantenni è diverso. Riconoscendo i diletti di Carosio, non possiamo non ricordarlo con affettuosa simpatia: ci accorgiamo che, intrepido e trascinante aedo del calcio, ci ha accompagnato saldamente lungo l'infanzia e la giovinezza e la maturità come Topolino e come Gary Cooper. Domani probabilmente ce ne saremo già dimenticati ma oggi sentiremo la sua mancanza con una punta di melanconia: è un pittoresco personaggio della nostra vita che è uscito per sempre di scena".

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