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mercoledì 2 novembre 2011

Un passo nella storia - Episodio 60

di Roberto Pelucchi

Di Nando Martellini, cresciuto alla radio e diventato celebre con la tv, abbiamo già parlato nella rubrica numero 22, un anno e mezzo fa. E' arrivato il momento di riparlarne attraverso l'intervista che Emilio Marrese di Repubblica realizzò il 15 luglio 1994, alla vigilia della finale mondiale tra l'Italia e il Brasile. 

Nando Martellini, dica la verità: quanto darebbe per commentare Italia-Brasile?
"Tanto. Sarebbe meraviglioso se una fatina mi portasse a Los Angeles per farmi entrare in cabina. Dopo dieci mondiali questo è il primo che vivo in poltrona e lo sento molto lontano. Non soffro di malinconia struggente come temevo, anche perché da tempo mi stavo ' allenando' . Ripenso alle 1750 telecronache, di cui quasi 300 azzurre, e ho di che essere fiero. Però una finale Italia-Brasile...". A Città del Messico nel '70, dopo la 'squalifica' di Carosio reo d'aver dato del negretto ad un guardalinee etiope, il microfono passò a lei per raccontare la finale dell'Azteca. "Già, spero proprio che Pizzul possa vendicarmi quelle quattro pugnalate: quei 4 gol del Brasile li ho ancora nel cuore. Mi ricordo la vigilia con Valcareggi, l'idea di far giocare la squadra più fresca, l'illusione nel primo tempo di poter reggere e poi il crollo, anche fisico, davanti ad una delle squadre più forti mai viste. Per me fu perfino facile, dal punto di vista professionale: c'era poco da dire, solo fare i complimenti a quel Brasile. Ma l'emozione più grande dei miei 50 anni di carriera l'avevo vissuta poco prima, quando fui gettato allo sbaraglio per Italia-Germania 4-3".
Dodici anni dopo, Italia-Brasile al Sarrià. Ma è vero che questo mondiale assomiglia a quello di Spagna? 
"Non molto. La vittoria dell'82 fu travolgente, esaltante. Questo è un mondiale molto più equilibrato, livellato. Non vorrei dire che in terra di ciechi basta avere un occhio, ma insomma... E' un calcio più scientifico, meno fantasioso, epico. Valcareggi e Bearzot sfruttarono al meglio il materiale messo a disposizione dal campionato mentre Sacchi è stato bravo a tener su di morale un gruppo di giocatori chiamato per provare ad attuare la sua idea. Alla fine le avversità si sono rivelate favorevoli: solo quando siamo rimasti in 10 contro 11 è saltato tutto, sono stati messi da parte quattro anni di frecce e lavagne ed è venuto finalmente fuori il cuore e il valore. Il tanto decantato spettacolo non s'è mai visto: mezz'ora con la Spagna, il primo tempo con la Bulgaria. Poi belle battaglie sul piano emotivo, sì, però...".
Insomma, questo Italia-Brasile, comunque vada a finire, non avrà mai quell'alone di leggenda di quelli precedenti, non scalzerà i vecchi miti? 
"Non c' è paragone: qui avremo solo Baggio contro Romario, quelle sfide invece erano piene di fuoriclasse. E' tutto un altro calcio, la dimensione economica ha fatto fare un passo indietro allo sport, non c'è più eroismo. Il pressing ha rovinato il calcio perché impedisce all' avversario di giocare. Il Brasile era fatto di 9 funamboli su 11, ora sono tutti onesti componenti. Come noi, del resto: Burgnich, Facchetti, Albertosi, Paolo Rossi... altra cosa. Non ci sono più personaggi come Gigi Riva o Rivera. Baggio è stati temprato da questo mondiale, forse solo ora sta trovando a suon di gol una personalità ma non è mai stato un leader, come ad esempio era Tardelli a Madrid".
Quindi il paragone tra Rossi e Baggio non la convince?
"Non sta in piedi. Sono due giocatori completamente diversi sul piano tecnico. Avrebbe retto un confronto tra Rossi e Signori, se il capocannoniere degli ultimi due anni non fosse stato usato da terzino. Opinioni: tanto Sacchi ci ha messo tutti a tacere coi risultati, ha ragione lui". In tal senso è eclatante il caso di Pizzul: è stato zittito in diretta nel giro di due minuti, quando nel finale di Italia-Nigeria s'era già lasciato andare. Poi Baggio ha tirato giù dall'aereo pure lui. "Quando io raccolsi la scomoda eredità di Carosio cercai di differenziarmi scegliendo uno stile Bbc, sobrio, dopo quello passionale di Nicolò. Il mio credo è sempre stato: fornire tutti gli elementi allo spettatore perché si crei un suo giudizio. Bruno, che è di certo il numero uno, probabilmente ha avuto un analogo problema di eredità e s'è discostato da me cercando di essere meno diplomatico, più tribuno e meno ambasciatore. Durante quella partita ha seguito il cuore, è stato italiano, s'è messo nei panni degli ascoltatori, ha detto quello che tutti pensavano in poltrona. S'è fatto prendere dal terrore di un'eliminazione da pomodori, come quella del ' 66 con la Corea. Ecco, forse dopo il pareggio, quella retromarcia... Ma no, non poteva restar freddo, doveva farsi prendere dall'entusiasmo. Oggi forse sarei stonato io, così asettico. Sono cambiati i tempi. Io l'altra sera, ad esempio, avrei detto che quello di Costacurta era rigore ma lui sarebbe passato da disfattista, perché quelli che stanno davanti alla tv dopo vogliono scendere in macchina a strombazzare. Non hanno molte altre occasioni per farlo". Come si allena un telecronista per una finale mondiale? 
"Io avevo bisogno di dormire molto, anche se non sempre bene. Studiavo le biografie degli avversari, mi concentravo già da un paio di giorni prima. Tanto che mia moglie, a tavola, a volte mi guardava e mi chiedeva: quanto stiamo? è finito il primo tempo? Il nostro lavoro è sempre più difficile, bisogna stare molto attenti: si paga di persona. Ma le critiche ci migliorano". Un consiglio a Pizzul: cosa potrebbe gridare al 90'? "Gli auguro di entrare nella storia come me anche se dovrà inventarsi qualcosa di diverso dal mio triplice 'campioni del mondo' . Non si prepari nulla, urli quello che si sentirà dentro".

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