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Il Palinsesto sportivo di Radio1Rai

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mercoledì 22 settembre 2010

Un passo nella storia - Episodio 29


Anche questa settimana l'ultima puntata di Tutto il quiz mi ha dato lo spunto per la rubrica. In particolare, la risposta sull'ultimo grande avvenimento seguito da Guglielmo Moretti. E' stato l'Olimpiade di Los Angeles nel 1984 (e non quella di Montreal del 1976, come Ho risposto io fidandomi troppo della memoria). La conferma arriva anche dalla pagina della Gazzetta dello Sport del 26 luglio 1984. A coordinare da Roma le squadre di radio-telecronisti c'era il capo del pool sportivo Gilberto Evangelisti, con Sandro Petrucci e Remo Pascucci. Trentacinque gli inviati, divisi tra radio e televisione.

I radiocronisti
Guglielmo Moretti (coordinatore)
Alberto Bicchielli
Sandro Ciotti
Gianni De Cleva
Giacomo Crosa
Riccardo Cucchi
Everardo Dalla Noce
Dario D'Aria
Gustavo Delgado
Massimo De Luca
Claudio Ferretti
Enzo Foglianese
Ettore Frangipane
Rino Icardi
Mirko Petternella
Alfredo Provenzali
Alessandro Rudolf
Giacomo Santini
Hugo Seyr

I telecronisti
Beppe Berti (coordinatore)
Aldo Biscardi
Adriano De Zan
Eugenio Fabiani
Italo Gagliano
Giampiero Galeazzi
Mario Guerrini
Claudio Icardi
Doriana Laraia
Giorgio Martino
Alfredo Pigna
Bruno Pizzul
Paolo Rosi
Carlo Sassi
Maurizio Vallone
Ennio Vitanza

Tra i telecronisti c'era anche Mario Guerrini, della sede Rai di Cagliari, radiocronista di Tutto il calcio minuto per minuto dalla Sardegna, prima di diventare telecronista per la boxe. L'articolo che vi propongo è uscito sull'Unione Sarda il 20 settembre 2009.
Roberto Pelucchi

Io, la Rai, il Cagliari e Mesina
Mario Guerrini, alla radio la voce della Sardegna

A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta la Sardegna finiva alla ribalta nazionale quasi esclusivamente per due fenomeni: il banditismo e il successo del Cagliari calcio. Non c'era giorno che i giornali, la radio e la Tv (allora in bianco e nero) non avessero un titolo sull'ennesimo sequestro di persona o sulle splendide prestazioni della premiata ditta Riva&C. Croce e delizia di un'isola in gran parte ancora sottosviluppata, dove turismo e industria muovevano i primi passi con la Costa Smeralda e la petrolchimica di Rovelli. A raccontare le drammatiche storie dei rapimenti e le esaltanti imprese dei rossoblù di Silvestri e Scopigno, era Mario Guerrini, un giovane cronista cagliaritano chiamato dalla Rai a seguire gli eventi più importanti che in quel decennio accadevano nell'Isola. Era la voce radiofonica e il volto televisivo dalla Sardegna. «Ehi, Mario, forza Cagliari, mi gridavano quando qualcuno mi riconosceva a Roma o a Milano», ricorda Guerrini. La sua inconfondibile voce si alternava nei pomeriggi calcistici di quarant'anni fa con quelle ancor più caratteristiche di Enrico Ameri, Roberto Bortoluzzi e Sandro Ciotti. Erano gli anni del glorioso stadio Amsicora. "Tutto il calcio minuto per minuto" teneva l'Italia incollata alla radiolina regalando, con l'immaginazione della radiocronaca, le emozioni di un tifo verace e fedele. «Quando a Cagliari venivano le grandi squadre arrivavano pure Ameri o Ciotti. Erano i maestri delle radiocronache, amici e colleghi indimenticabili. Così io, che seguivo tutte le altre partite dei rossoblù, venivo dirottato in altri stadi».
Che cosa rappresentava il grande Cagliari?
«Era la bandiera e l'orgoglio di tutti i sardi. Quando viaggiavo all'estero e dicevo di essere cagliaritano, tutti conoscevano Riva e la nostra squadra. Purtroppo in quegli anni i sardi erano conosciuti anche per un altro fenomeno che all'epoca era tutto sardo: i sequestri di persona. Se ne contavano sette, otto all'anno. Quella sì che era diventata una vera industria, con effetti devastanti sull'immagine dei sardi e della Sardegna».
Mario Guerrini ha quasi settant'anni, qualche capello in meno rispetto ai quei tempi, ma sempre uguale nell'aspetto e nell'animo di entusiasta giornalista. E di sportivo. «Non ho mai smesso di praticare e frequentare il mondo dello sport, che faceva parte del mio lavoro ma anche della vita quotidiana». Tanto da essere candidato due volte per la poltrona di presidente della federazione italiana di pugilato. Ma senza fortuna. «A Roma c'erano altri interessi che prevalevano al momento del voto. La Sardegna della boxe non aveva peso», dice.
Guerrini entra in Rai come collaboratore nel 1957, giovanissimo. La Tv in Sardegna sarebbe arrivata solo un anno dopo. Ma c'era la radio con il popolare Gazzettino. «Allora i giornali erano pochi e non arrivavano in tutta l'Isola. L'informazione passava in gran parte attraverso la radio che aveva la sua autorevolezza e credibilità. Quando si diceva "l'ha detto la radio", voleva dire che un fatto era accaduto davvero».
Altra cosa dalla Rai di oggi.
«La mia Rai era una grande azienda, ma soprattutto una grande famiglia. C'era solidarietà tra i dipendenti e gli anziani insegnavano il mestiere ai giovani. Era una Rai di qualità. Niente da paragonare agli eccessi della televisione di oggi, così volgare, gridata, eccessiva. I dibattiti sembrano ring, dove le voci si sovrappongono. Chi urla più forte fa prevalere il suo pensiero. Gli stessi conduttori cercano la rissa. Non c'è più rispetto per gli ascoltatori».
Berlusconi accusa la Rai di essere schierata contro di lui. Così Vespa riesce a far spodestare Ballarò dal palinsesto. E tutto passa.
«È un grave problema perché all'interno della Rai esiste una concorrenza ideologica che deriva dalle lotte esterne all'azienda. È conseguenza delle lacerazioni che avvengono fuori, degli scontri personali tra i politici. Berlusconi cerca di avere il suo potere, così va da Vespa. Non si rende conto che la Rai è un mostro a sette teste che non puoi dominare, non puoi averla tutta. Ci sarà sempre qualcuno che ti remerà contro».
La sua era la Rai della lottizzazione.
«Aveva una sua logica ed era democratica perché rispecchiava in proporzione le scelte degli elettori. La divisione del potere e dei posti era scientifica: la sede di Cagliari era totalmente assegnata alla Dc e all'area cattolica. Io ero l'unico di sinistra, poi arrivarono i Pci e i sardisti».
Comunque i partiti avevano il loro spazio.
«Sì, tutti erano rappresentati. Ma i dirigenti si facevano sentire in modo soft. Più che altro erano gli stessi giornalisti che riconoscendosi in un dato partito sapevano come muoversi».
Autocensura?
«Il condizionamento psicologico era scontato, ma mai coercitivo. Non ricordo una censura dall'alto. Eppoi esisteva la famosa opzione: ognuno poteva scegliere il Tg o la Radio in cui si rispecchiava. Le reti e le testate erano ben identificabili».
Un socialista come Guerrini dove trovò posto?
«Con l'arrivo della Terza rete, nel 1980, si ampliarono gli spazi per i nuovi, ma io mi trovai chiuso. Scelsi di andare a lavorare con Zavoli al Gr1 e con Barbato al Tg2».
Due testate in quota socialista. Era l'epoca del craxismo emergente.
«Sì, ma con grandi nomi di giornalisti. Sono orgoglioso di aver lavorato con loro. Per quanto mi riguarda ero considerato un lombardiano, un socialista di sinistra, quindi un perdente nel nuovo Psi. Un giorno entrai nella redazione romana di via del Babuino: al tavolo c'era un giovanissimo Enrico Mentana, che prima era stato segretario della gioventù socialista. Mi riconobbe e mi salutò dicendomi: "tu sei Guerrini, sinistra socialista". Ciascuno aveva un partito, un politico o una corrente di riferimento: ma tutto alla luce del sole».
Mario Guerrini cronista di nera. Nel 1970 uscì un libro che fece scalpore: ricostruiva le vicende della prima Anonima sequestri. Ebbe successo, ma fu anche molto criticato. Perché?
«Da anni seguivo le cronache dei sequestri. Per la radio e la Tv giravo tutta la Sardegna. Conoscevo pastori e banditi, in Barbagia ero di casa. Avevo una mia teoria per spiegare questo fenomeno crescente che contrastava con le tesi degli intellettuali di allora».
Chi erano i suoi critici?
«Peppino Fiori, grande giornalista e grande scrittore. Gli storici dell'università di Sassari Manlio Brigaglia e soprattutto Guido Melis che mi attaccò ferocemente, l'avvocato Melis Bassu. Sostenevano che le radici del banditismo dovevano ricercarsi nella società del malessere, nel mondo agropastorale misero e isolato. E che lo Stato doveva intervenire profondamente nella società per estirpare il male endemico».
E lei cosa scriveva?
«La mia esperienza sul campo mi portava ad altre conclusioni. In quegli anni stava nascendo una vera industria che era quella dei rapimenti. Era un fenomeno criminale nuovo e tipicamente sardo, originato nelle campagne e nel mondo dei latitanti. Ma poi si era sviluppato coinvolgendo professionisti, piccoli imprenditori, giovani disoccupati col fine di fare soldi, subito e facili».
Cosa la convinse nella sua tesi?
«I personaggi che venivano fuori nelle inchieste. L'Anonima sequestri, la prima che aveva a capo Graziano Mesina e che mise a segno numerosi rapimenti, fu il primo clamoroso esempio. Non era l'unica banda, nello stesso tempo agivano altri gruppi più o meno simili. Ma il modello di organizzazione era identico».
Com'era la banda dell'Anonima?
«I latitanti pensavano ai sequestri perché per loro che vivevano alla macchia non era un problema nascondere un ostaggio sui monti o in campagna. Non cambiava loro la vita e i soldi servivano per pagare gli avvocati, aiutare la famiglia, mantenersi. Così i sequestri nascevano negli ovili. Poi servivano gli ideatori che individuassero i possibili ostaggi e i basisti per studiare l'azione: questi erano personaggi di città, che volevano arricchirsi in fretta. Infine la manovalanza che veniva arruolata tra la delinquenza comune o tra i pastori».
Il libro uscì poco prima dell'inizio del processo a Mesina e compagni. Le sue tesi furono contraddette dalla sentenza che mandò assolti tutti.
«È vero. Il giudice Raimondo Pili aveva idee diverse dall'accusa. Io stesso per due giorni fui interrogato come testimone: volevano sapere le mie fonti, rischiai di finire dentro per reticenza. Dopo il processo il direttore della Rai mi chiamò e mi disse di non occuparmi più di sequestri. I successivi processi in Corte d'Assise e in Cassazione ribaltarono la sentenza. Piovvero condanne pesanti per tutti».
Nel frattempo i sequestri cominciarono ad avvenire anche nella penisola.
«Quando fu rapito Paul Getty junior a Roma si parlò di una banda di piccoli criminali. Dissi subito che doveva trattarsi di mafia. Non quella siciliana che non voleva sequestri in Sicilia per non richiamare l'attenzione dello Stato sui suoi vastissimi interessi. Ma comunque di un'organizzazione complessa di tipo mafioso. Presto venne fuori la 'ndrangheta calabrese ».
Nel suo libro fa i nomi di noti cagliaritani finiti nel mirino dell'Anonima.
«Il fatto suscitò molta impressione perché i banditi per la prima volta lasciarono la Barbagia e scesero sino a Cagliari. Ricordo gli imprenditori Nanni Fodde, Mario Casula Valeri e Franco Trois che sfuggirono alle mire dei rapitori. Il commerciante Luigi Marcialis e il radiologo Giuseppe Deriu furono rilasciati molto provati dopo aver pagato il riscatto. Ma altri ostaggi, come Antonio Mannatzu sequestrato a Pirri o Gianni Picciau rapito in viale Marconi, non tornarono più».
Carlo Figari

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